Venezia. Morì dentro una pressa: mancava il salvavita, ma la polizza paga metà del risarcimento

Michele Favaro quattro anni fa fu vittima del lavoro in fabbrica a Maerne

Giovedì 25 Aprile 2024 di Gianluca Amadori
Venezia. Morì dentro una pressa: mancava il salvavita, ma la polizza paga metà del risarcimento

VENEZIA - Il Tribunale civile di Venezia ha stabilito un risarcimento di quasi un milione e 800 mila euro, interessi compresi, per la morte di Michele Favaro, 53 anni, l'operaio che il 25 giugno del 2020 fu vittima di un terribile infortunio in fabbrica, rimanendo incastrato con la testa in una pressa per piegare i metalli, le cui fotocellule di sicurezza non erano in funzione.

Ma Groupama, la compagnia assicuratrice del datore di lavoro, la DR costruzioni srl di Maerne, ha versato nel corso della causa soltanto un anticipo di 650 mila euro ai familiari della vittima, probabilmente nella speranza che in appello possa essere ridotta la quantificazione del danno morale liquidato dal giudice di primo grado.

Le sentenze civili, però, sono immediatamente esecutive: di conseguenza i legali dello Studio Simonetti di Mestre, che assistono le parti offese, si sono attivati ​​per riuscire ad ottenere la liquidazione dell'intera somma dovuta a vedova, figli e fratelli di Michele Favaro, attivando l'esecuzione forzata della sentenza.

PATTEGGIAMENTO

Nel frattempo, il titolare dell'azienda, Sauro De Rossi, 54 anni, ha patteggiato la pena di un anno e quattro mesi a conclusione dell'inchiesta penale nella quale gli sono state contestate responsabilità sotto il profilo delle carenze nelle misure di sicurezza. Il giudice gli ha concesso la sospensione condizionale.

Favaro, considerato un lavoratore esperto, fu rinvenuto con la testa infilata in un'apertura dal diametro di meno di 25 centimetri, a circa un metro e mezzo da terra, all'interno della DR, fabbrica di carpenteria metallica, specializzata in curvatura e sagomatura di travi, tubi e profili vari, nella quale sono impiegati una decina di dipendenti.
Il giorno dell'infortunio mortale al lavoro c'erano 8 operai, ma Favaro stava operando da solo a quella pressa piegatrice: l'infortunio si verificò nel corso delle fasi di attrezzaggio della macchina, in cui l'operatore effettua tutte le regolazioni necessarie, cioè in un momento preliminare al momento di produzione vera e propria. I colleghi, ascoltati dagli inquirenti, riferito di non aver visto né sentito cosa sia accaduta, fino a quando uno di loro, passando vicino alla pressa, si trovò di fronte alla macabra scena dell'operaio con la testa schiacciata all'interno del macchinario .
L'azienda, assistita dall'avvocato Federico Doni, si è difesa respingendo ogni responsabilità e sostenendo che il dipendente aveva eseguito una manovra non prevista infilando la testa nella pressa, commettendo dunque una fatale imprudenza. Analoga tesi sostenuta dalla compagnia assicurativa Groupama, patrocinata dall'avvocata Federica Dalan.

Il consulente tecnico che ha ricostruito l'accaduto, l'ingegner Piacenti, ha però rilevato che il macchinario non era rispondente alla normativa e che «la presenza di una barriera invisibile laser (fotocellula) funzionante non avrebbe consentito la discesa del pestone, evitando così le note gravi conseguenze, pur in presenza di un indubbio comportamento omissivo da parte del lavoratore nelle fasi di attrezzaggio della stessa».

PIENA RESPONSABILITÀ

Nella sentenza civile di primo grado la giudice Chiara Coppetta Calzavara ha concluso accertando «la piena responsabilità della società datrice di lavoro nella causazione dell'infortunio», escludendo che a Michele Favaro «sia ascrivibile alcuna colpa», anche come conseguenza della mancata adeguata formazione per l'utilizzo della piegatrice oggetto di causa, «macchinario peraltro utilizzato solo sporadicamente». La giudice scrive che l'azienda «aveva posto a disposizione dei lavoratori attrezzatura non conforme», in violazione della legge. «E non vi è nemmeno prova che il manuale d'uso fosse stato portato a conoscenza di Favaro e degli altri lavoratori».
Gli accertamenti sulle modalità di lavoro all'interno della DR Costruzioni srl e sul rispetto delle misure di sicurezza sono stati svolti dallo Spisal, intervenuto per ricostruire la dinamica dell'infortunio mortale. Con molte probabilità Favaro inserì la testa per meglio vedere il posizionamento della lastra da piegare o per effettuare le necessarie regolazioni, premendo per errore il pedale che attivava la pressa, la quale non si sarebbe dovuta abbassare se le misure di sicurezza fossero state regolarmente funzionanti.

«La vera causa dell'infortunio è venuta alla luce solo grazie ad una indagine tecnica approfondita sul macchinario, che era stato messo in grado di funzionare senza le obbligatorie misure di sicurezza», spiega l'avvocato Guido Simonetti, sottolineando che le fotocellule che avrebbero dovuto bloccare la pressa non erano attive.

Ultimo aggiornamento: 26 Aprile, 10:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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